Geopotere: una strato-analisi dell’Antropocene – Call for papers

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Geopotere: una strato-analisi dell’Antropocene

Qual è il rapporto tra il pensiero e la terra?
Deleuze e Guattari, Che cos’è la filosofia? 

  1. Il pensiero di Elizabeth Grosz (2008), pensatrice che ha introdotto la nozione di “geopotere” allo scopo di estendere il discorso geopolitico per integrazione del serbatoio vitalista delle forze non-umane, ha inspirato molti lavori sui materiali come forze e il riconoscimento del non-umano nell’arte, in particolare all’interno della corrente dei “nuovi materialisti”. Ella concepiva il geopotere (e la geoestetica) come il passaggio dall’arte verso i substrati della terra. Nel suo costante movimento di divergenza, La Deleuziana vorrebbe proseguire tale ipotesi contaminandola con i dibattiti e le nuove questioni che emergono dalla letteratura filosofica ed ecologica sull’Antropocene. Con l’arrivo dell’Antropocene nel discorso filosofico resta ancora da fare un lavoro concettuale mirato al ripensamento ed all’estensione della relazione tra terra e pensiero, per un nuovo pensiero ecologico che non annulli, né feticizzi, la natura. In quest’ottica, il geopotere sarà quel concetto alternativo per pensare non tanto l’età dell’umano (Antropocene), ma la nascita di nuovi poteri che attaccano i substrati: la natura è diventata un campo di battaglia (Keucheyan 2014), un nuovo campo di battaglia che riunisce forze geofisiche, geostoriche, geoeconomiche, geofilosofiche e geofinzionali. Sembra però che una critica al geocapitalismo manchi ancora.
  1. A partire dagli anni ’70 il clima diventa l’oggetto delle nuove scienze (le geoscienze), che analizzano l’impatto umano sull’ecosistema, sulla qualità dell’aria, sullo strato d’ozono e persino sul riscaldamento climatico legato all’effetto serra. Da quel momento in poi il clima è diventato oggetto di studio, ha trasformato culturalmente e socialmente le società e i modelli ecologici ed economici. In parallelo, alcuni economisti hanno cercato di predire i comportamenti umani ed economici nei loro modelli, prendendo in considerazione le teorie della complessità e del caos. Diversi paradigmi economici hanno accettato la sfida di integrare nei loro modelli dei fenomeni instabili, come il clima. Ma quando tutto cambia, quando l’imprevedibilità, le crisi, le turbolenze e il caos diventano la regola e non l’eccezione, diviene estremamente difficile valutare, da una parte, quello che cambia davvero e, dall’altra, ciò che è significante in tale cambiamento. Gli economisti hanno paragonato i paradigmi delle variazioni nelle geoscienze ai regimi di auto-organizzazione del mercato, incoraggiando così una naturalizzazione della razionalità economica.
  1. Possiamo identificare come minimo due posizioni dominanti sull’Antropocene a partire da due diverse concezioni della Terra: una come corpo pieno e l’altra come corpo vuoto (Neyrat 2016). Per quanto riguarda la prima, la natura continua a esistere e ha delle proprietà ontologiche, come oggetto (natura naturata) e come soggetto (natura naturans), mentre nella seconda la Terra è compresa nel suo intero esclusivamente come oggetto, come un progetto modernista profetico, alterato geologicamente dall’anthropos e quindi malleabile nella sua totalità dal governo umano. Giovanna di Chio (2016) ha ragione nel porsi i seguenti problemi: chi è l’anthropos dell’Antropocene? Ha una razza, una classe, un genere o un sesso? Chi è questo “noi” prodotto subitamente mediante la presa di coscienza dell’impatto geofisico delle attività umane?
  1. Pensare l’Antropocene costringe sempre a una interrogazione intorno a quell’anthropos maggioritario e consensuale che si nasconde in tale concetto. Alcuni hanno pensato di vedervi un nuovo sistema emergente, un nuovo essere generico (Gattungswesen), mentre altri hanno inventato altre denominazioni, liberando una pulsione speculativa – Entropocene, Misantropocene, Capitalocene, Chthulucene, Sociocene, Anglocene, Thanatocene, e così via. È come se l’Antropocene avesse creato le condizioni per una creazione libera e selvaggia di concetti, cercando di evidenziare le differenze e le posizioni nella struttura stessa dei concetti. Quest’ultimi sono la cartina tornasole della confusione che regna da quando il cambiamento climatico è stato identificato come problema filosofico, e della difficoltà di trovare un linguaggio o un terreno comune per dialogare. Deleuze e Guattari aprono il loro capitolo “Geofilosofia” con gli enunciati che seguono:

Il soggetto e l’oggetto forniscono una cattiva approssimazione del pensiero. Pensare non è né un filo teso tra un soggetto e un oggetto, né una rivoluzione dell’uno intorno all’altro. Il pensare si realizza piuttosto nel rapporto tra il territorio e la terra (Deleuze e Guattari, Che cos’è la filosofia?, 77).

I problemi ecologici non sono centrali in Deleuze come lo erano per Guattari, e i suoi concetti non sono immediatamente mobilizzati nel dibattito sull’Antropocene, ossia nel momento in cui il grande geopotere si configura con paesaggi sempre più modificati mediante progetti di geo-ingegneria e di appropriazione di territori (land-gradding). Con la grande accelerazione del cambiamento climatico e della politica, ma anche dell’impazienza di percepire i ritorni finanziari sugli investimenti così come i ritorni sociali sulle politiche di ingegneria sociale, la cartografia dei flussi e le geometrie di potere si sono metamorfizzate. Assistiamo a un movimento generale verso l’interconnessione e la perequazione dei territori nel cuore di un tutto integrato.

  1. Le figure del migrante e dello straniero ritornano al centro della politica, ma esse sono anche motivi potenti della filosofia. La simultaneità della COP21 a Parigi, delle uccisioni di massa in Francia e dell’afflusso importante di migranti dal Medio Oriente verso l’Europa in reazione alla guerra civile siriana ha fatto del 2015 un anno particolarmente periglioso e rischioso. Per Deleuze e Guattari, l’inconscio rientra sempre nel territorio e nella temporalità, nella geografia e nella storia, pieno di divenire e di ritorni:

Il problema dell’inconscio, senza dubbio, ha a che vedere non con la generazione, ma con il popolamento, la popolazione. Un affare di popolazione mondiale sul corpo pieno della terra, non di generazione familiare organica. (Deleuze e Guattari, Mille piani, 72-73)

L’Antropocene riconfigura anche il problema del popolamento, del ripopolamento, coinvolgendo i grandi movimenti dei popoli, dei migranti, dei rifugiati, degli stranieri ma anche dei pensieri. La trasformazione delle identità degli stranieri in migranti, rifugiati e vittime modifica l’inconscio collettivo della terra come corpo pieno. Si tratta della nostra immaginazione, e con essa, di racconti, di meta-racconti, di story-telling. Nuove fiction che sono prodotte quando la vita è dominata dall’incapacità di calcolare i rischi e di immaginare il futuro. E comunque viviamo ancora con il “mal d’astrazione”, come lo chiamava Derrida più di 20 anni fa (2000), dal momento che le nuove tecnologie e le tecnoscienze ne concentrano e diffondono altrettanta.

  1. Attraverso il concetto di geopotere vogliamo rendere visibili le relazioni tra i poteri geofisici in gioco, che sono cancellati dai discorsi contemporanei sulla fine o la morte della natura. Come Frédéric Neyrat ha dimostrato così bene in La Part inconstructible de la terre (2016), l’anaturalismo delle teorie recenti ha reso concettualmente possibile ed anche legittimato grandi progetti di geo-ingegneria. Questi progetti si fondano sull’equazione semplice che un numero maggiore di tecnologie risolverà l’entropia tecnologica: technofix, come Clive Hamilton lo chiama. Siamo diventati addicted alla tecnologia? Le coordinate del dibattito, che rispecchiano la tossicità stessa dell’Antropocene, sono le coordinate dell’“oppure”: o noi acceleriamo il processo, o ci ritiriamo e quindi ritorniamo a dei progetti pre-moderni e arcaici, un ritorno alla natura. Occorre declinare una terza via consensuale e moltiplicarne le coordinate, evitando gli universalismi e i meta-racconti proprio quando si presentano come i più sinceri, volendo proteggere tale o tal altro non umano, affermando la natura ibrida delle entità, ecc. Non è una questione di amore o di odio per la tecnologia, della tecnofilia o della tecnofobia, ma di distinguere tra diversi progetti di vita, diverse istituzioni, norme sociali, ecc. Celebrando la fine della natura o l’artificialità prima della natura, alcuni eco-critici e costruttivisti arrivano a legittimare i progetti tecnologici nel design e nella ricostruzione della terra (come il progetto di earth stewardship), che annullano i dibattiti di tal sorta.

La Deleuziana desidera impegnarsi in un numero sul geopotere per studiare la riconfigurazione del potere stesso dal punto di vista concettuale ed empirico insieme, dal momento che, di pari passo, il cambiamento climatico è al centro dei dibattiti nello studio e nella pratica economica, finanziaria, culturale e antropologica. Una Deleuziana ecologica a venire. Il dibattito sull’Antropocene è un’occasione e un rischio per ripensare le questioni politiche, filosofiche, tecniche e sociali fondamentali e per inventare una alternativa apparentemente sostenibile per un sistema economico insostenibile. La terra e la natura sono concetti centrali nella discussione, e sono costantemente modificati o rifiutati sulla base di nuovi rapporti scientifici, nuove conferenze internazionali e nuove innovazioni tecnologiche.

 

TOPICS:

  • Geopotere e geofilosofia;
  • Limiti dell’Antropocene come concetto;
  • Ripensare Deleuze dopo l’Antropocene;
  • I conflitti e le lotte politiche e sociali all’epoca del cambiamento climatico;
  • Antropocentrismo e capitalocentrismo;
  • Geo-construttivismo e i suoi limiti;
  • La funzione della nozione di terra;
  • Tecnologie e filosofia della natura;
  • Filosofia e territorio;
  • Fine e morte della natura in filosofia;
  • La critica del geocapitalismo;
  • Il cambiamento climatico e i racconti.

 

Fonti :

Deleuze, Gilles e Guattari, Félix (2002), Che cos’è la filosofia ?, trad. it. di A. De Lorenzis, Torino: Einaudi.

Deleuze, Gilles e Guattari, Félix (2006), Mille Piani. Capitalismo e schizofrenia, trad. it. di G. Passerone, Roma : Castelvecchi.

Derrida, Jacques (2000), Foi et savoir, Paris : Le Seuil.

Di Chiro, Giovanna (2016), ‘Environmental Justice and the Anthropocene Meme’, in Teena Gabrielson, Cheryl Hall, John M. Meyer and David Schlosberg, The Oxford Handbook of Environmental Political Theory, Oxford : Oxford University Press.

Grosz, Elizabeth, (2008), Chaos, Territory, Art: Deleuze and the Framing of the Earth, Durham : Duke University Press.

Hamilton, Clive (2013), Earthmasters: The Dawn of the Age of Climate Engineering, New Haven : Yale University Press.

Keucheyan, Razmig (2014), La Nature est un champ de bataille, Paris : La Découverte.

Neyrat, Frédéric (2016), La Part inconstructible de la terre, Paris : Le Seuil.

 

Termine ultimo di consegna: 30 novembre 2016  15 dicembre

Inviare a: ladeleuziana_call@ladeleuziana.org

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