Alice e lo Specchio – Call for Papers

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Jeune-Fille e divenire-donna negli schermi contemporanei

 

 

Quando dico «Alice cresce», voglio dire che diventa più grande di quanto non fosse. Ma voglio anche dire che diventa più piccola di quanto non sia ora. Senza dubbio, non è nello stesso tempo che Alice sia più grande e più piccola. Ma è nello stesso tempo che lo diventa. È più grande ora, era più piccola prima. Ma è nello stesso tempo, in una sola volta, che si diventa più grandi di quanto non si fosse prima, e che ci si fa più piccoli di quanto non si diventi. Tale è la simultaneità del divenire la cui peculiarità è di schivare il presente. […] Alice non cresce senza rimpicciolire, e viceversa.

Gilles Deleuze, Logica del senso

 

 

Il divenire di Alice, il suo divenire simultaneamente più grande e più piccola, offre l’opportunità di diagnosticare il presente attraverso un fenomeno più che mai attuale – la «Jeune-Fille» di Tiqqun, ora amplificata dai social networks – e, al tempo stesso, indica una strategia politica rigorosamente inattuale o intempestiva, ossia tesa alla ricerca delle virtualità singolari che sfuggono alla cronologia del tempo mercificato delle esistenze.

È infatti dal punto di vista dell’Aiôn, modalità extracorporea e ineffettuale del tempo che si divide in passato e futuro sfuggendo alla trappola dell’identità, che devono essere compresi i divenire dell’Alice di Carroll. Se con Kronos possiamo raccontare la storia del susseguirsi degli accadimenti e dei nostri gesti, con Aiôn ci è dato affrontare gli eventi che accadono su di un altro piano, quello del pensiero che sperimenta, contro-effettua e in tal modo ricava, all’interno degli accadimenti, il senso delle nostre azioni e passioni: «l’evento è in ciò che accade». E questo pensiero, come insegna Logica del senso, si muove per paradossi, ossia mediante il superamento delle opinioni, del senso comune e delle immagini che la filosofia, la politica, la scienza, il potere – dalla religione al mercato, dallo Stato alla cultura – impongono o suggeriscono per pensare e per vederci allo specchio.

In tal senso, La Deleuziana desidera pensare il divenire di Alice come un divenire-donna tanto nella sua a-cronologica paradossalità teoretica, quanto in quella politica che l’attualità esprime. Consapevole ed entusiasta dell’inscindibilità delle due dimensioni, teoretica e politica, nel pensiero e nella scrittura di Deleuze, la rivista suggerisce un percorso di senso il cui ingresso risiede nella ricognizione più generale del divenire, come movimento del pensiero che si svolge attraverso i suoi personaggi concettuali. Si tratta, a ben vedere, di un’entrata particolare, o appunto paradossale, in quanto apre immediatamente alla terra di mezzo tra filosofia e letteratura, da cui proviene la stessa Alice di Deleuze. È infatti nell’interstizio tra il concetto e la scrittura, da cui «si ritorna con gli occhi rossi», che avvengono tanto i divenire (divenire donna, bambino, animale, impercettibile ecc.) quanto la creazione dei personaggi concettuali. La porta d’ingresso per il divenire ci permette così di entrare nel Fuori, per «respirare un po’ di possibile», vale a dire sentire ed osservare le linee di fuga che il pensiero deleuziano mette a disposizione di fronte a un presente sì da schivare, ma per poterlo sorvolare e inventare così le strategie in grado di criticarlo.

Perché Alice? Perché diviene ragazzina (Jeune-Fille) e donna nel medesimo istante. È qui opportuno ricordare che, tra tutti i “divenire”, il divenire-donna è per Deleuze e Guattari la precondizione e l’inevitabile punto di partenza per l’intero processo del divenire minoritario. Le ragioni di tale incipit sono essenzialmente politiche e rinviano alla valenza fallogocentrica inscritta nella costituzione della soggettività occidentale. L’uomo (maschio) è infatti «il referente privilegiato della soggettività, portabandiera della norma/legge/logos [che] rappresenta la maggioranza, il cuore morto del sistema» (Braidotti). Di conseguenza, il maschile può essere soltanto il luogo della decostruzione e della critica – non vi è divenire se non minoritario – ma soprattutto il divenire-donna è da intendersi come «il passaggio fondamentale nel processo del divenire, per entrambi i sessi». È in tal senso che, per Deleuze e Guattari, «anche le donne devono divenire donna», mentre oggi, dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, sembra che la tendenza sia quella di diventare ragazzine – e i selfie o l’uso auto-espositivo delle bacheche digitali della soggettività come Facebook rappresentano i sintomi di questa puerescenza.

Chiaramente, La Deleuziana, come Alice donna e ragazzina nello stesso divenire, non ha alcuna intenzione di scagliarsi né contro un fenomeno di massa né tanto meno contro le tendenze di un genere di cui all’anagrafe anch’essa farebbe parte – e poi, anche lei è su Facebook… È quindi venuto il momento di esplicitare il senso dell’essere ragazzina oggi, riprendendo la teoria concepita alla fine del secolo scorso da Tiqqun, per cui la Jeune-Fille è una sorta di aggiornamento dell’antropomorfosi capitalista (Cesarano), il risultato della descrizione fenomenologica del movimento al tempo stesso antropizzante e antropopoietico del Capitale. Quest’ultimo si fa uomo, si incarna in esso, e così fa di ogni uomo una parte di sé – costruendo l’umano a partire dai propri assiomi. In tal senso, ci sentiamo di aggiungere, andrebbe indagata concettualmente anche la paradossale femminilizzazione del lavoro che colora di affetti e di soprusi il capitalismo cognitivo al di là e al di qua di qualsiasi distinzione di genere. Oltre a ciò, e in linea con il Poscritto sulle società di controllo, mediante la Jeune-Fille ci è possibile comprendere in modo ottimale la valorizzazione delle differenze individuali da parte del marketing e del Data Behaviourism (Rouvroy), in quanto loro promozione e messa a valore economico, caratteristica delle società di post-disciplinari.

Perché la Jeune-Fille? Innanzitutto perché “essa” non è un concetto sessuato o generazionale e quindi confinabile in una singola figura sociale, la ragazzina appunto, dato che può identificare qualsiasi soggetto – il maschio, in primis – che incarni il divenire merce dell’umano. Perché, in sostanza, «non è altro che il cittadino modello quale la società mercantile lo ridefinisce a partire dalla prima guerra mondiale, in risposta esplicita alla minaccia rivoluzionaria». Perché, infine, in quanto prodotto della messa a valore della differenza, la Jeune-Fille diviene una singolarità perennemente allo specchio e «sarà dunque quell’essere che non avrà più alcuna intimità con se stesso se non in quanto valore, e di cui tutta l’attività, in ogni dettaglio, sarà finalizzata alla propria autovalorizzazione». Ecco allora il selfie, come specchio attuale della Jeune-Fille, lo schermo contemporaneo che, nell’autovalorizzazione dell’utente, dà sfogo al sintomo della nevrosi della presenza e del presente; una nevrosi che si sposa con la miseria simbolica generata dall’ipertrofia della comunicazione sui social networks e dai loro modelli comunicativi.

Selfie e social networks: termini quasi incompossibili per un marziano che volesse imparare l’inglese, ma tuttavia funzionali l’uno all’altro per lo sfruttamento capitalistico delle relazioni e gemellati da Sua Santità la Comunicazione. Che il selfie, sorta di monadografia del XXI secolo, abbia preso così campo da essere diventata la pratica più gettonata sulle cosiddette reti sociali, non può non far riflettere. Probabilmente è una reazione per qualcosa che non c’è più, e proprio perché manca, il capitalismo – artista della mancanza – ne ostenta la presenza. Già tempo fa Deleuze, con Klee, diceva che “manca il popolo”, oggi diremmo che è “il sociale che manca”. Il social sembra infatti sostituire il sociale, svuotandolo di significato, al punto che l’individuazione psichica e collettiva (Simondon) si perde nei fiumiciattoli dell’individualizzazione, e la cura di sé e degli altri (Foucault) – senza cui non vi è complicità, né solidarietà – degenera nella cura del selfie e degli avatar – ossia il grado zero della socialità, in cui si è uniti solo dall’adesione pulsionale a quel che ci viene offerto, come monadi che possono toccarsi solo attraverso gli schermi, nemmeno di profilo, bensì di profiling. E se lo specchio, come quello d’acqua in cui è caduto Narciso, forse è stato il primo schermo, nel caso del Mito non si è trattato di selfie, né di stupidità, perché entrambi, per come li conosciamo, sono i prodotti del più soporifero dei poteri, quello capitalista, che oggi scatena le pulsioni per annichilire il desiderio. La Jeune-Fille in selfie e per selfie esprime perciò il regredire a merce pulsionale dei processi di soggettivazione, i quali funzionano come percorsi recintati in vista di una jouissance essenzialmente cieca ed entropica, in quanto interamente appiattita sul consumo.

Se il desiderio è per Deleuze e Guattari una forza sociale produttiva, neghentropica e vitale, non è certo un caso che Tiqqun descriva la Jeune-Fille come un cadavere truccato in modo impeccabile, oggi anche grazie a tutti i filtri e i ritocchi di Instagram, Photoshop o degli smartphones. Alice, invece, anche se di fronte allo specchio, non ha bisogno di trucco, né di pose sexy o sbarazzine, di tag o condivisioni, non ha neanche un’identità o un nickname, il suo divenire sfugge ai cookies e ai profiling e non le serve nemmeno fare un login, poiché ha già la sua «carta d’intensità». Ci piace perciò immaginare che Alice, tra i suoi divenire, divenga anche La Deleuziana, e viceversa.

Non solo, ma con questo numero vogliamo provare a concretizzare ciò che avevamo scritto nel manifesto d’esordio: «In quanto donna, La Deleuziana è la risposta alla Jeune-Fille del capitalismo, dunque alla soggettività-merce verso cui il desiderio viene sistematicamente indirizzato e, in tal modo, distrutto a favore del calcolo algoritmico delle pulsioni. Se almeno una volta nella vita è necessario osare, vorremmo che La Deleuziana fosse un po’ come L’Anti-Edipo di quest’epoca, l’anti-Jeune-Fille che prova a tracciare la linea di fuga dalle passioni tristi in cui spesso finisce il pensiero». Osiamo dunque, magari solo per una volta, e assieme a chi lo desidera, sferrare una raffica di concetti che provino ad esser incisivi sul presente. Insomma, ci sembra che il momento sia maturato affinché, come (la) donna, anche La Deleuziana divenga deleuziana.

Perché, infine, abbiamo scelto la donna? Perché l’unica arma che ci rimane, il senso critico come potenza di creazione, la possiamo affilare solo con la scrittura – in qualsiasi forma, anche quella digitale – e per Deleuze scrivere è divenire-donna, «un divenire donna che si può ottenere solo con il combattimento» contro le forze che tentano di farci regredire nelle forme sempre attuali di stupidità e di micro-fascismo. E la donna può essere tutto, tranne che Fascismo. Più in generale, il gesto vitale ed emancipativo della scrittura consiste nel congiungere i flussi molecolari che attraversano i soggetti e i loro segmenti identitari (genere, specie, etnie, età, classi, ecc.) per portarli alle soglie della dis-indentificazione, che sola può permettere alleanze rivoluzionarie tra le minoranze – e c’è da stare certi del fatto che, in politica e nel sociale, finché c’è vita c’è minoranza. Inoltre, il divenire-donna della scrittura, l’essere minoranza persino di fronte alla propria identità, che Deleuze vede praticato da moltissimi scrittori (Kafka, James, Lawrence, Miller, e la stessa Virginia Woolf), non consiste nello “scrivere come” una donna, così come il divenire-animale non si raggiunge “imitando” o “facendo” l’animale, bensì alleandosi con chi subisce gli effetti di una maggioranza.

Ecco dunque un primo passo per ricostruire il sociale che manca: scrivere per tracciare una linea che ci dis-identifica e incontrarne un’altra che riesca a congiungersi con la nostra. Anche per questo motivo, Donna ci pare il nome da dare alle strategie di trasformazione e di contro-effettuazione del torrente di eventi che sta annichilendo il pensiero critico. Donna come la Grecia, come Lampedusa, come la Luna e la Terra, come la (geo)filosofia.

 

 

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TEMI SUGGERITI

1. La donna è il soggetto della filosofia di Deleuze. Letteralmente, perché nel suo pensiero non assume il ruolo del semplice oggetto di riflessione, ma ne è il motore, l’agente del divenire, ossia del movimento stesso che soggiace al fare filosofia. Personaggio concettuale filosofico per eccellenza, non ha bisogno di specificazioni: se maschio è il pensiero dell’identità, donna è il pensiero della differenza, il cuore pulsante nella creazione dei concetti. Più che la descrizione di particolari figure al femminile, ciò che forse interessa maggiormente a Deleuze è un tipo di potenza, una valenza che permette al suo stesso pensiero di divenire donna, e con la quale egli lavora l’intera (storia della) filosofia, sottoponendola a una mutazione che la minora, ossia la rende in grado di dialogare con l’esterno. Ciò che proponiamo, e che è proprio dello spirito della rivista, fin dal suo nome, è dunque un’esplorazione di questa valenza: dove sta la deleuziana nel corpo della filosofia? In quali occasioni la donna diviene un personaggio concettuale, o, ancora oltre, l’evento che spinge a pensare?

2. Il divenire donna non è in Deleuze soltanto un concetto ma anche qualcosa che riguarda la genesi e la struttura stesse di ogni concetto filosofico. Esiste cioè un divenire donna del concetto che permette di comprendere ulteriormente, innanzitutto dal punto di vista storico e interpretativo, cosa per Deleuze sia effettivamente un “concetto”. Così come infatti, nel lavoro da storico della filosofia compiuto tra gli anni 50 e gli anni 60, Deleuze esponeva metodicamente i concetti dei grandi filosofi del passato ad un divenire mostruoso che li rendeva irriconoscibili ai sacerdoti dell’ortodossia kantiana o spinoziana, negli anni Ottanta, riprendendo in esame i concetti da lui stesso creati, Deleuze espone questi ultimi ad altrettanto metodico divenire donna che, rivitalizzandoli, permette di scoprirne di volta in volta nuove sfumature inesplorate. Ne L’immagine tempo e nel corso sul cinema (lezione del 28/5/1985), ad esempio, oltre ad esaminare la tecnica e lo stile della narrazione filmica di Marguerite Duras nei termini di un divenire donna dell’immagine cinematografica, Deleuze li sfrutta come un prisma per sondare il divenire donna del concetto stesso di “desiderio”, da lui precedentemente messo a punto insieme a Guattari. Preso in un divenire donna di cui Marguerite Duras è il più puntuale “intercessore”, infatti, il desiderio di Deleuze e Guattari si ripropone a più di dieci anni di distanza dall’Anti-Edipo come “desiderio assoluto”.

3. Sin dal suo primo saggio su Sacher-Masoch del 1961 fino al suo ultimo testo “psicoanalitico”, L’anti-Edipo (1972), Deleuze ha cercato di mettere in discussione “l’inflazione” dell’importanza del padre nella psicoanalisi freudiana e lacaniana. A partire da Il Freddo e il crudele (1967), tale critica si è incentrata fondamentalmente sul “Nome del Padre” di Lacan – la funzione linguistica e simbolico-culturale che reprime preventivamente gli attaccamenti libidinali nei confronti della madre. In particolare, la torsione di Deleuze verso Melanie Klein – da Logica del senso in poi – può essere compresa nei termini di questa deflazione dell’importanza del padre nello sviluppo infantile, che appariva come una forza strutturante all’interno dell’inconscio. L’enfasi di Klein sullo spazio dell’immaginario materno nel primo sviluppo è stata a lungo compresa dalle femministe – diremmo soprattutto da Julia Kristeva con la sua nozione di “semiotica” – come un contrappeso al fallogocentrismo di Lacan. Alla luce di tali considerazioni, saremo lieti di accogliere interventi relativi alle sfumature femministe presenti nei lavori di Deleuze sulla psicanalisi, dal primo periodo fino alla collaborazione con Guattari.

 

ULTERIORI TOPICS:

  • Genere e differenza nella filosofia contemporanea
  • Selfie e socialnetworks
  • Women’s Studies
  • Divenire-donna e letteratura/arti
  • Jeune-Fille e antropomorfosi del Capitale
  • Consumismo, stupidità e infantilizzazione
  • Femminilizzazione del lavoro
  • Desiderio, pulsioni e schizoanalisi nel XXI secolo
  • Divenire minoritario
  • Divenire molecolare e asessualità
  • Identità e femminilità

 

Termine ultimo di consegna: 20 settembre 2015

Inviare a: ladeleuziana_call@ladeleuziana.org

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