Intervista a Michel Tournier – a cura di Sofia Sacchetti

Michel Tournier, nato a Parigi il 19 dicembre 1924, è considerato il massimo scrittore vivente di lingua francese. Filosofo di formazione, Michel Tournier giunge tardi alla letteratura, pubblicando nel 1967

il suo primo romanzo, Vendredì ou les limbes du Pacifique, che ottiene nello stesso anno il riconoscimento del Gran prix de l’Académie française. Tre anni dopo, Le Roi des aulnes viene presentato a Gallimard e dopo solo tre mesi si aggiudica il Prix Goncourt all’unanimità. La seconda opera, porterà al suo autore il riconoscimento della medaglia Goethe nel ’93 e nel 1997 il titolo di dottore honoris causa all’università di Londra. Nel 1972 lo scrittore diventa membro ufficiale dell’Académie Goncourt, consacrandosi interamente alla letteratura. Dal 1975 al 2007 Michel Tournier pubblica altri numerosi romanzi, saggi, racconti, poemi in prosa e un libro di viaggio (Le vagabond immobile, 1984). Da cinquantanni vive a Choisel, nella Vallée de Chevreuse, in un antico presbiterio.
Sofia Sacchetti, nata a Cesena il 6 agosto 1989, ha conseguito la laurea triennale in filosofia all’università di Bologna, con una tesi intitolata L’invenzione della femminilità, seguita dal relatore Valerio Marchetti, traduttore italiano di Michel Foucault. In seguito ha completato il suo percorso di formazione filosofica specializzandosi all’università degli studi di Torino e a l’université Lumière Lyon-2 a Lione. Si è laureata con massimi voti a Torino, con una tesi intitolata La scrittura nomade, riflessione filosofica sull’opera di Michel Tournier, dove si tenta una ricostruzione del pensiero filosofico dello scrittore, nascosto tra le maglie della fabulazione letteraria. In questo contesto, ha incontrato Michel Tournier a Choisel e ha avuto la possibilità di conoscerlo personalmente e intervistarlo. Il frutto di questo incontro verrà pubblicato per la prima volta su questa rivista.

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Conversazione con Michel Tournier

1-2 marzo 2014, Choisel

1 marzo 2014, ore 18.50
Quando scrive, sente il bisogno di dire qualcosa?

M. T. No, io scrivo per essere letto, è il mio primo bisogno. Se non avessi lettori non scriverei. Non sono tra quegli autori per i quali la scrittura è un bisogno. Non ho bisogno di scrivere, ma di essere letto e per essere letto bisogna scrivere e pubblicare. Ho molti libri qui, ho una libreria importante, che utilizzo spesso.
Una cosa fondamentale per me è la Germania. I miei genitori si sono conosciuti come studenti di tedesco; anche io sono stato uno studente di tedesco. Sono cresciuto con un piede in Germania, e all’epoca non era una cosa facile perché c’era la guerra, c’era l’Occupazione. C’è un’altra cosa che mi ha legato alla Germania ed è stata soprattutto la filosofia. La filosofia è in primo luogo greca: è Platone, Aristotele; poi latina: San Tommaso; e infine tedesca: Kant, Fichte, Hegel, Heidegger. Sono andato a studiarla a Tubinga, dove sono rimasto quattro anni. Ho ancora dei contatti là. Una signora tedesco-svizzera, che si chiama Karin e ha la mia età, mi chiama tutte le sere alle 21.30 e bisogna che le racconti qualcosa in tedesco. Stasera le racconterò della tua visita.
Un’altra cosa molto importante nella mia vita è stata l’Académie Goncourt. Il prix Goncourt valeva un milione in diritti d’autore. Ma purtroppo vale il triplo per l’editore. Per un libro che vende migliaia di esemplari, è l’editore che ci guadagna di più. La questione è se il prix Goncourt vada all’autore o all’editore. In principio all’autore; quando ho vinto il premio, mi hanno dato un assegno; ce l’ho ancora qui a casa e non l’ho mai incassato, era una somma ridicola, derisoria!

Qual è il suo modello letterario?

M. T. L’apice della letteratura classica è rappresentato da Jean-Jacques Rousseau. Ora; Rousseau non era francese, ma svizzero, era un cittadino di Ginevra. Quando vedete un critico letterario o uno scrittore domandategli qual viagrasansordonnancefr.com è per lui il capolavoro letterario in assoluto. Io rispondo Le confessioni di Jean-Jacques Rousseau. É un libro indimenticabile, magnifico!

Ma Rousseau era un filosofo…

M. T. Non so… dipende cosa uno intende per filosofia. Che cosa vuol dire filosofia? Vuol dire amore per la saggezza. Questa è la filosofia.
Allora, ci sono i grandi filosofi greci; Aristotele, Platone…, ci sono i francesi; Descartes, Melebranche, che scrivevano in latino; li ho tutti questi libri, sono proprio qui. Poi ci sono i tedeschi: Kant, Fichte, Schelling, Hegel, Heidegger. Sono andato a studiarli in Germania ed è stata una fortuna straordinaria. I miei genitori erano germanisti. Mio padre aveva delle convinzioni politiche che erano incompatibili con quelle dei Hitler e del nazismo, e dopo la guerra non l’ho mai più sentito pronunciare una sola parola di tedesco. Nel 1940, la casa dove abitavamo era stata occupata dai tedeschi, e vivevamo insieme a loro, in casa nostra. Mio padre non gli rivolse mai una sola parola in tedesco. Mia madre sì, ma per mio padre la Germania era una cosa finita, aveva chiuso lui con la Germania. Erano delle cose incredibili quelle…mah, la storia! Non ci rendiamo conto oggi a che punto siamo fortunati…io ho conosciuto l’orrore!
Ho avuto due fortune nella mia vita. La prima, è che ero troppo giovane per venir mobilitato nel 1939, e la seconda, è che ero troppo vecchio per la guerra d’Algeria. Se avessi avuto quattro anni in meno sarei partito anche io. Mio fratello Jean-Loup ha fatto la guerra in Algeria e ne ha molto sofferto.

Nell’enciclopedia italiana Treccani on-line, al termine perverso, corrisponde una pagina consacrata allo scrittore francese Michel Tournier, come considera questa associazione?

M.T. (Ride)

Che cosa è la perversione per Michel Tournier?

M. T. Assolutamente niente!
Qual è il più grande libro di tutti i tempi? È questo qui guardi, (lo indica con la stampella). È l’Etica di Spinoza. Volevo essere professore di filosofia ma ho fallito due volte l’esame di ammissione all’insegnamento superiore; l’agrégation. Quando vedo i temi che vengono dati all’esame di filosofia del diploma, ammetto che sarei stato un cattivo professore. Perché un bravo professore non è qualcuno che ti insegna questo o quello, la filosofia o altro; è qualcuno che vi fa passare il vostro esame. Con me si avrebbero avute buone probabilità di non superarlo! C’è un malinteso in partenza, tra l’insegnamento della filosofia e la filosofia come io la concepisco.
Ora; avrei potuto essere l’allievo di Sartre al liceo Pasteur; per fortuna l’ho mancato per poco; mi avrebbe influenzato troppo. Era l’epoca della pubblicazione del libro fondamentale di Sartre, L’Essere e il Nulla. Un libro assolutamente fondamentale! Lo sapevamo a memoria. Per fortuna Sartre non era più professore quando sono entrato al liceo; penso che sarebbe stato troppo determinante per me avere Sartre come professore.

In che senso?

M. T. Non sarebbe stata una buona cosa credo; avrebbe avuto troppo influenza su di me; molta di più di quella che comunque ha avuto, avendolo letto moltissimo. La prima edizione che uscì nel 1943 de L’Essere e il Nulla ce l’ho ancora qui, nella mia biblioteca, e l’ho fatta rilegare. È un libro bellissimo, me ne ricordo ancora dei passaggi a memoria.
Ho la casa piena di libri. Ogni giorno me ne arrivano di nuovi, insieme a riviste tedesche, inglesi, e anche la televisione la guardo in più lingue. Tutti i giorni un mio vicino viene qui e se ne parte con qualche scatolone pieno di libri. Non so cosa ne faccia, e non voglio saperlo! È molto difficile buttare un libro nel bidone, io non riesco a farlo!

Qual è per lei il filosofo più importante?

M. T. Beh direi non solo per me, in assoluto, è Aristotele! E poi Sartre. L’Essere e il Nulla. Sapete quali sono le ultime parole dell’Essere e il Nulla? “Nous y consacrerons un prochain ouvrage”. Non l’ha mai fatto, ma quando si scrive L’Essere e il Nulla può bastare così!

Nelle sue opere autobiografiche, traspare una certa distanza esistenziale con Sartre? Qual è la ragione fondamentale del distacco che prende dal suo “maestro”?

M. T. Oh! Questa è una bella domanda! Ho qui qualcosa che può rispondere alla sua questione. (Ride e comincia a sfogliare il suo journal, dove annota regolarmente gli avvenimenti e i pensieri rilevanti).
Sapete cosa è successo il 23 aprile 1616? E’ formidabile. Il 23 aprile 1616 è il giorno della morte del più grande scrittore inglese, Shakespeare, e il giorno della morte del più grande scrittore spagnolo, Cervantes. Lo stesso giorno! Probabilmente non ci sono che io a saperlo, e adesso siamo in due. Allora Shakespeare è morto a 52 anni, il 23 aprile 1616 e Cervantes a 69 anni, lo stesso giorno! È incredibile, incredibile!
(Continua a leggere dal suo diario).
– M. T. Visita del padre Emmanuel Péteul, curato di Chevreuse e di Choisel. Viene a trovarmi al presbiterio e mi chiede se ho la fede. Gli rispondo che non saprei dirlo, ma che sono stato educato da genitori cristiani e dai preti dei collegi cattolici; non so se ho la fede, ma di certo la mia sostanza è cristiana.
– M. T. 19 dicembre. Chiamate telefoniche per il mio compleanno. Le ho annotate tutte e ne ho una lista così, ma provo un po’ di vergogna; tutti questi amici conoscono la mia data di nascita e io ignoro la loro.
– M. T. Visita del medico, mi misura la pressione arteriosa ed è inferiore alla norma. È una cosa rara! (Ride). Vi prevengo fin da subito; sapete, quando si invecchia, non siete solo voi ad invecchiare, ma anche i vostri amici; e non soltanto invecchiano, ma muoiono anche. La lista degli amici che sono morti è dolorosa. Il mio migliore amico svizzero Heins Peter Heisemberg, è morto nel 2010.

Crede che ci sia qualcosa nell’aldilà?

M. T. No no, niente! Non credo che ci sia niente.
Il mio vicino ha la mia età e mi dice che si preoccupa dell’aldilà. Gli rispondo: “ma lo conoscete già! È la stessa cosa che l’al di qua! Non vi ricordate prima della vostra nascita?” Mi guarda perplesso senza capire.
(Legge dal suo diario).
M. T. Il problema della solidarietà fra le generazioni.
Vivere lo stesso periodo storico nella stessa età è molto importante. Napoleone, c’est pas mal! Beethoven, c’est pas mal! Chateaubriand, c’est pas mal, Hegel, c’est pas mal! Ebbene, date di nascita: Napoleone: 1769, Beethoven: 1770, Chateaubriand: 1768, Hegel: 1770. Ora; Napoleone ha fatto la storia, Beethoven ha fatto entrare la storia nella musica, Chateaubriand la storia nella letteratura e Hegel ha portato la storia nella filosofia.

Scrive ogni giorno?

Sì, quando ho qualcosa da dire. Lo annoto dentro a dei quaderni come questo, guardi là, sulla scrivania ce ne sono a decine.
Conoscete il tedesco? Tra i rari testi che conosco a memoria c’è questa canzone di un cacciatore tedesco che ho imparato nel 1937 e che ricordo ancora.
( Michel Tournier canta in tedesco e con la mano alzata enfatizza il ritmo delle strofe).
(Legge dal suo diario).
– M. T. Dopo Kant, vi è un quadruplice paradosso del bello. Il bello è suscettibile di quattro definizioni che sono tutte e quattro delle contraddizioni. Prima definizione: il bello è un piacere disinteressato. Ora, il piacere è essenzialmente interessato. È ciò che nutre l’organismo. Seconda definizione: Il bello è un universale senza concetto. Ora, chi dice universale dice concetto. Terza definizione: il bello è una necessità soggettiva. Ma ciò che è soggettivo non è necessario. Infine, il bello è una finalità senza fine. Ma una finalità suppone una fine! (Ride).

Ho intitolato la tesi di cui lei è soggetto La scrittura nomade, che cosa ne pensa?

M. T. Penso che la scrittura sia in primo luogo una radice, o meglio un radicamento ad un paese, ad un paesaggio. Si è scrittori inglesi, francesi, eccetera. La scrittura è un radicamento. La scrittura nomade è una contraddizione, il nomade non scrive, il nomade parla. Una volta per scrivere ci voleva l’inchiostro, della carta, delle penne, tutte cose che il nomade non poteva permettersi.

Ma le sue opere liberano il pensiero e l’immaginazione, tutti possono viaggiare anche da fermi con un libro in mano? Non è questo il paradosso della lettura?

M. T. Tanto meglio! (Ride).
Ho trovato questo recentemente e per me è stato uno shock! È un quaderno tenuto da mia madre. È scioccante! Ci sono tutte le spese che faceva.
Credo che ci sia una questione fondamentale da porsi: ho avuto fortuna nella vita? Penso che ognuno di noi prima o poi si ponga questa domanda. E prima di rispondere a questa, occorre chiedersi: ho avuto dei bravi genitori? Non sono mica una cosa da nulla i genitori! Io credo di non potermi lamentare. I miei genitori erano germanisti; mio padre mi ha cresciuto insieme alla musica. La sua carriera professionale era legata alla musica registrata sui dischi. È stato uno dei primi, forse addirittura il primo a mettere dei dischi in commercio. Poi ha creato la BIEM, Bureau international de l’édition musicale mecanique. Mio padre ha avuto in casa uno dei primi fonografi della storia. La musica è stata molto importante per me, insieme alla Germanistik. Mio padre parlava tedesco correntemente, ed è così che ha conosciuto mia madre; si sono conosciuti come studenti alla Sorbona. Mio padre ha fatto la guerra del ’14 e si

è preso una pallottola in faccia. È per questo che lo chiamavano gueule cassée. Non l’ho mai visto simpatizzare per i tedeschi, mai al mondo! Per lui la Germania era una storia chiusa.
Per fortuna mia madre non aveva gli stessi pregiudizi, così io sono cresciuto con un piede in Francia e uno in Germania. Sono stato allevato da una ragazza tedesca alla pari, che viveva a casa nostra.
È stato il compagno di studi e amico di Gilles Deleuze…

M. T. Gilles è stato un mio grande compagno, il mio grande amico! Ma giustamente aveva un difetto; era completamente refrattario alle lingue straniere. Gilles Deleuze non sapeva una parola di tedesco, non una parola di inglese, non si spostava mai, non viaggiava. E purtroppo aveva un altro difetto, che poi l’ha ucciso: le sigarette. E io ho contribuito ad accrescere in lui questo difetto, perché gli davo le mie. A 18 anni avevamo una carte du tabac, con la quale potevamo andare a prendere le sigarette; io non fumavo e gli davo anche le mie. Non gli ho reso un bel servizio!

E come filosofo chi è stato per lei Gilles Deleuze?

M. T. Beh Gilles è stato il filosofo più importante! È stato il migliore! Per quello che scriveva, per quello che diceva…un genio!
Avevamo la stessa concezione della filosofia, in questo campo ci trovavamo d’accordo. Tuttavia Gilles non aveva alcun senso pratico, non ne aveva un’idea di cosa fosse la vita concreta! È stato quasi un miracolo che abbia passato l’agrégation. Io invece l’ho fallita e quindi ho dovuto guadagnarmi la vita in qualche modo. Per un certo tempo ho lavorato come traduttore. Traducevo dei documenti interi, ho tradotto dei romanzi di Erich Maria Remarque, ma era un lavoro ingrato e mal pagato; in più era un lavoro solitario, non c’è niente di peggio che fare i traduttori! In compenso, se lavorate alla traduzione di lingue straniere in francese, questo vi permette di imparare il francese. E capirete quanto mi sia stata utile la traduzione per diventare uno scrittore francese! Quello del traduttore è un lavoro mal pagato, solitario, terribilmente ingrato e se poi si aggiunge che alla fine della giornata non si è portato a casa che due soldi, diventa un lavoro duro da reggere. Eppure alla fine avrete imparato il francese, e conoscere la propria lingua, è fondamentale per uno scrittore.

Che cos’è per lei la filosofia?

M. T. È Platone, è Aristotele, è Spinoza. Se mi chiedete quale sia il più grande libro mai scritto vi rispondo: l‘Etica di Spinoza, il più grande libro che esista! C’è una gerarchia nella filosofia; tutto ha una scala di valori; la musica, la pittura, la poesia. Per il pensiero filosofico, al vertice di questa scala, c’è l’Etica di Spinoza.

 

2 marzo 2014. ore 13.05

M. T. Mi hanno detto che uscirà la Pléiade delle mie opere, forse la pubblicheranno dopo la mia morte, sarà Arlette Bouloumié a farla.
A me non importa molto in realtà, a me interessa essere letto, e nessuno legge la Pléiade; viene messa in libreria e sfogliata ogni tanto. Io preferisco il livre de poche.

Ho già il titolo del mio prossimo libro. Quando avevo un ufficio presso Gallimard, spesso capitava che arrivassero gli autori, appoggiavano sulla scrivania i loro manoscritti e mi chiedevano di aiutarli a cercare un titolo. Per me è il contrario, io sono pieno di titoli, ma mi manca il libro dietro. Il mio prossimo libro probabilmente sarà un diario, è ho già un titolo niente male: Le plus clair de mon temps. Non è bello?

M. T. È domenica oggi? Domenica 2 marzo! Meraviglioso! È l’apertura del cielo sul bel tempo..beh sicuramente il 2 marzo è meglio che il 2 novembre! (Ride). Quando è bello faccio le mie spedizioni fino alla piazza del paese.

M. T. Ogni tanto veniva qui il presidente della repubblica Mitterrand. Veniva in elicottero e aveva una macchina che veniva da Parigi soltanto per portarlo a prendere l’elicottero, che storia!
Per anni sono andato a lavorare a Parigi. Da Choisel, con la mia macchina arrivavo fino alla stazione di Saint-Rémy-lès-Chevreuse, e da lì prendevo il treno, perché è impossibile andare a Parigi in macchina alle 8 di mattina e attraversare la città alle 6 di sera, è veramente impossibile! Io andavo fino alla stazione di Saint-Remy e poi prendevo lo stesso treno che ha preso lei, quello che adesso si chiama RER e una volta si chiamava La ligne des Sceaux.

M. T. Vede quella scrivania?… Tutto quello che ho pubblicato l’ho scritto su quella scrivania, davanti alla finestra che dà sul giardino. E dentro lo scatolone alla sua destra, ci sono tutti i miei diari. Questa cartolina invece viene da Saint-Jacut-de-la-Mer in Bretagna. Ci andavo regolarmente in vacanza. Là c’è una meravigliosa abbazia, dove ogni tanto tenevo delle conferenze. Allora; durante una di queste conferenze dico di apprezzare molto la scultura cristiana, ma mi dispiaccio del fatto che Gesù bambino sia sempre tenuto in braccio dalla Vergine e mai da suo padre. L’anno dopo ci torno, e la madre superiora mi avvicina dicendomi: “Michel, ho una grande sorpresa per voi; abbiamo trovato un San Giuseppe con il piccolo Gesù in braccio”. Mi sono portato a casa la statua, e non è stata un’impresa facile! Adesso è qui, sul mobile in alto, a sinistra della scrivania.

Da quanto tempo vive a Choisel?

Da cinquantanni e vuole sapere una cosa divertente?…Mi hanno già fatto pagare la tomba. Questo qui dove siamo è il presbiterio, poi c’è un muro e subito dietro, il cimitero; e nel cimitero ho già una tomba pronta. Ho dovuto pagare la lapide e l’epitaffio. Quale epitaffio? Non è mica una cosa semplice! Ma io ce l’ho già e l’ho addirittura già pagato: “Je t’ai adorée, tu me l’as rendu au centuple. Merci, la vie!”…Non è bello?

 

Entretien avec Michel Tournier
1-2 Mars, Choisel

1 Mars 2014, 18h50
Michel Tournier, écrivez-vous pour dire quelque chose ?

Non, j’écris pour être lu. Je veux être lu. C’est mon premier besoin. Si je n’avais pas de lecteurs je n’écrirais pas. Je ne suis pas du tout parmi ces écrivains pour qui l’écriture est un besoin. Je n’ai pas besoin d’écrire. Je suis très heureux comme ça ! Mais, j’ai besoin d’être lu et, pour être lu, il faut écrire et publier.
J’ai beaucoup de livres ici ; j’ai une

bibliothèque importante et je me replonge dedans régulièrement.
Il y a une chose qui compte beaucoup pour moi : c’est l’Allemagne. Mes parents se sont connus comme étudiants d’allemand et j’ai toujours été élevé avec un pied en Allemagne, ce qui était difficile à l’époque car quand j’étais enfant l’Allemagne c’était Hitler, c’était la guerre, c’était l’occupation. Il y a autre chose qui m’a replongé dans l’allemand : c’est la philosophie. La philosophie suppose le grec – Platon, Aristote – le latin – Saint Thomas – et l’allemand – Kant, Fichte, Schelling, Hegel, Heidegger.
J’ai étudié la philosophie allemande à Tübingen où je suis resté quatre ans.
Tous les soirs à 21h30 Karine, une dame suisse-allemande, me téléphone. Nous parlons allemand, elle me demande de lui raconter quelque chose et ce soir je vais lui raconter votre visite.

Il y a une chose importante pour moi : c’est l’Académie Goncourt. Si vous avez le pris Goncourt, cela représente un million en droits d’auteur. C’est beaucoup. Malheureusement c’est le triple pour l’éditeur. Pour un livre que l’on vend à 300.000 exemplaires, c’est l’éditeur qui gagne le plus. Donc, la question est de savoir si le prix Goncourt va à l’éditeur ou à l’auteur. En principe, c’est à l’auteur. Quand j’ai eu le prix Goncourt, on m’a donné un chèque que je n’ai jamais encaissé. Il est là ! C’était une somme ridicule, dérisoire !

Quel est votre modèle littéraire ?

Pour moi, le sommet de la littérature classique, c’est Jean-Jacques Rousseau. Or, Jean-Jacques Rousseau n’était pas français, il était suisse. C’était un citoyen de Genève.
Quand vous rencontrez un critique littéraire ou un écrivain, demandez-lui quel est pour lui le plus grand chef-d’œuvre. Moi, je réponds : Les Confessions de Jean-Jacques Rousseau. C’est un livre absolument inoubliable, admirable.

Mais Rousseau était un philosophe…

Je n’en sais rien. Je ne crois pas ! Enfin, ça dépend ce qu’on entend par là. Pour moi, la philosophie c’est d’abord une théorie de la connaissance. Il n’y a pas de ça chez Rousseau.
Qu’est-ce que ça veut dire « philosophie » ? Cela veut dire l’amour de la sagesse. Il y a les grands philosophes classiques, les grecs – Platon, Aristote, Plotin – et puis il y a les français – Descartes, Malebranche – qui écrivaient essentiellement en latin. Ensuite il y a les allemands – Kant, Fichte, Schelling, Hegel, Heidegger.
Moi, j’ai fait des études en Allemagne. J’ai eu une chance extraordinaire : mes parents étaient germanistes.
Mon père avait des convictions politiques qui étaient incompatibles avec Hitler et le nazisme et je n’ai jamais entendu mon père prononcer un mot d’allemand. En 1940, la maison où nous habitions a été occupée par les allemands et je ne l’ai jamais entendu parler avec eux. Ma mère oui, mais pas mon père. Pour lui, l’Allemagne c’était fini.
On ne se rend pas compte aujourd’hui à quel point tout va bien mais moi, j’ai connu l’horreur.
J’ai eu deux chances dans la vie. La première c’est d’être trop jeune pour être mobilisé en 1939 et la seconde c’est d’être trop vieux pour la guerre d’Algérie. Je ne l’ai pas faite. Si j’avais eu quatre ans de moins je serais parti en Algérie. Mon frère Jean-Loup a fait la guerre d’Algérie. Il en a beaucoup souffert.

Dans l’Encyclopédie italienne Treccani , au mot pervers correspond une page consacrée à l’écrivain français Michel Tournier. Que pensez-vous de cette association ?

(rires)

Qu’est-ce que la perversion pour vous ?

Rien, absolument rien. Ça ne compte pas pour moi.
Quel est le plus grand livre qui existe ? Regardez, il est là [il le montre avec sa béquille]. C’est L’Ethique de Spinoza.
Je voulais être professeur de philosophie et j’ai échoué deux fois à l’examen de recrutement, l’agrégation. Quand je vois les sujets qui sont donnés au Bac, je me dis que j’aurais été un mauvais professeur ; parce qu’un bon professeur n’est pas quelqu’un qui vous enseigne ceci ou cela, la philosophie ou autre, mais quelqu’un qui vous fait réussir votre examen. Et avec moi il y avait des chances d’échouer !
Il y avait un malentendu au départ entre l’enseignement de la philosophie et la philosophie telle que moi je la conçois.

Il s’en est fallu de très peu pour que je sois l’élève de Sartre au lycée Pasteur. Heureusement j’ai échappé. Sinon il aurait mis la main sur moi. C’était l’époque où a paru L’Etre et le Néant, un livre absolument fondamental. On le savait par cœur, nous. Heureusement, Sartre n’était plus professeur. Je pense que ça aurait été fâcheux pour moi que j’aie Sartre comme professeur.

Pourquoi ?

Ce n’était pas souhaitable. Il aurait eu trop d’influence sur moi. Il en a déjà beaucoup. L’Etre et le Néant est ici. Je l’ai fait relier. C’est un très beau livre. J’en savais des passages par cœur.

Tous les jours je reçois des livres, des hebdomadaires étrangers, je regarde la télévision en plusieurs langues. Tous les jours un voisin vient chercher des cartons de livres. Il part avec. Je ne sais pas ce qu’il en fait. Je ne veux pas le savoir. C’est très difficile de jeter un livre à la poubelle. C’est affreux. Moi, je ne peux pas le faire.

Quel est le philosophe le plus important pour vous ?

Pas pour moi ! Dans l’absolu ! C’est Aristote. Et puis Sartre, L’Etre et le Néant.
Savez-vous quels sont les derniers mots de L’Etre et le Néant ? « Nous y consacrerons un prochain ouvrage. » Il ne l’a jamais fait. Mais quand on écrit L’Etre et le Néant, ça suffit comme ça.

Dans Le Vent Paraclet, vous prenez de la distance par rapport à Sartre. Quelle est la différence fondamentale entre vous?

(Rires)
Ah, ça c’est une question ! (Rires)

[Michel Tournier feuillette son journal, où il note les événements importants]

J’essaie de trouver quelque chose qui puisse répondre à votre question.
Je vais vous apprendre quelque chose. Savez-vous ce qui s’est passé le 23 Avril 1616 ? C’est formidable ! Le 23 Avril 1616 c’est le jour de la mort du plus grand écrivain anglais, Shakespeare et le jour de la mort du plus grand écrivain espagnol, Cervantès. Le même jour ! Il n’y a que moi qui le sais. Et maintenant, nous sommes deux.
Shakespeare est mort à 52 ans et Cervantès à 69 ans. Le même jour ! C’est incroyable, incroyable !

[Michel Tournier continue à lire son journal]

Visite du père Emmanuel Péteul, curé de Chevreuse et de Choisel.
Le curé vient me voir au presbytère et me demande si j’ai la foi. Je lui réponds : « Je ne saurais le dire, mais ayant été élevé par des parents chrétiens, des prêtres, etcetera, j’ai la substance. »

19 Décembre. Appels téléphoniques pour mon anniversaire. J’ai la liste. Et j’ajoute : « J’ai honte. Tous ces amis connaissent la date de mon anniversaire et moi j’ignore la leur ».

Visite du médecin qui prend ma tension artérielle. Elle est inférieure à la norme. C’est rare. (Rires)

Vous savez, je vous préviens tout de suite, quand vous vieillissez, il n’y a pas que vous. Vos amis vieillissent et non seulement ils vieillissent ; ils meurent. La liste des amis morts que j’ai, c’est effrayant. Mon meilleur ami suisse vient de mourir, en 2010.

Croyez-vous qu’il y a quelque chose après la mort ?

Non, je ne crois pas. Mon voisin qui a mon âge me dit qu’il s’inquiète de l’au-delà. Je lui réponds : « Mais vous le connaissez. C’est la même chose que l’ « en-ça ». Vous en souvenez-vous ? Avant votre naissance. » Il me regarde sans comprendre.

[Michel Tournier continue à lire son journal]

Le problème de la solidarité des générations.
Vous avez le même âge qu’un tel, vous avez vécu les mêmes périodes au même âge. C’est très important. Or, je m’aperçois que, si l’on regarde les copains au sens propre du mot, Napoléon c’est pas mal, Beethoven c’est pas mal, Chateaubriand c’est pas mal, Hegel c’est pas mal !
Eh bien, les dates de naissance : Napoléon 1769, Beethoven 1770, Chateaubriand 1768 et Hegel 1770.
Napoléon fait l’histoire ; Beethoven fait entrer l’histoire dans la musique, Chateaubriand fait entrer l’histoire dans la littérature et Hegel fait entrer l’histoire dans la philosophie.

Ecrivez-vous toujours ?

Oui, quand j’ai quelque chose à dire. Je les écris dans un cahier comme cela. Voyez, sur la table il y en a des dizaines.
Connaissez-vous l’allemand ? Parmi les rares textes que je connais par cœur il y a ces paroles d’un chant d’un chasseur allemand que j’ai appris en 1937.

[ Michel Tournier chante en allemand]

D’après Emmanuel Kant il y a un quadruple paradoxe du beau : le beau est susceptible de quatre définitions contradictoires. Premièrement, le beau est un plaisir désintéressé. Or, le plaisir est essentiellement intéressé. C’est ce qui nourrit l’organisme. Deuxièmement, le beau est un universel sans concept. Or, qui dit universel, dit concept. Troisièmement le beau est une nécessité subjective. Or, ce qui est subjectif n’est pas nécessaire. Enfin le beau est une finalité sans fin. Or, une finalité cela suppose une fin !

J’ai intitulé la thèse dont vous faites l’objet : « L’écriture nomade ». Qu’en pensez-vous ?
Je pense que l’écriture est avant tout l’enracinement dans un pays et dans un paysage. On est écrivain français, anglais, belge, etcetera.
L’écriture nomade évidemment c’est contradictoire. Le nomade n’écrit pas, il parle. Autrefois pour écrire il fallait de l’encre, du papier, des plumes, toute une histoire, que le nomade ne pouvait pas se payer.

Mais vos œuvres ouvrent l’imagination du lecteur qui peut ainsi voyager. N’est-ce pas le paradoxe de la lecture ?

Tant mieux !
J’ai trouvé ça récemment. Ça a été pour moi un choc. C’est frappant. C’est un journal tenu par ma mère. Il ya toutes les dépenses qu’elle faisait. Il y a une question fondamentale. Est-ce que j’ai eu de la chance dans la vie et est-ce que j’ai eu de bons parents ? Ce n’est pas rien ! Je crois que je n’ai pas à me plaindre. Mon père a eu une carrière professionnelle attachée à la musique enregistrée sur disque. Il a été peut-être le premier à voir arriver des disques dans le commerce et à dire que le compositeur devait toucher quelque chose. Il a créé le BIEM (Bureau international de l’édition musicale mécanique).
Enfant, j’ai eu les premiers phonographes qui existaient et j’en était très heureux. La acheter viagra france ligne musique a été pour moi très importante avec la Germanistik. Il parlait allemand couramment et c’est comme ça qu’il a connu ma mère à la Sorbonne.
Mon père avait fait la guerre de ‘14, il avait reçu une balle dans la figure, il était ce qu’on appelait « une gueule cassée ». Je ne l’ai jamais vu sympathiser le moins du monde avec des allemands, pour lui l’étranger c’était l’Amérique, l’Angleterre, pas l’Allemagne.
Heureusement, ma mère n’avait pas les mêmes préjugés et elle m’a élevé avec un pied en Allemagne. J’ai été élevé par une jeune fille allemande au-pair, qui vivait chez nous.

Quelques mots sur Gilles Deleuze…

Il a été mon grand copain, le grand ami. Il avait un défaut : il était complètement réfractaire aux langues étrangères. Il ne savait pas un mot d’allemand, pas un mot d’anglais, il ne bougeait pas.
Et il avait un autre défaut, qui l’a tué : c’était la cigarette. Et j’ai contribué à ça.
A 18 ans nous avons eu une carte de tabac. Moi, je ne fumais pas et je donnais mes cigarettes à Gilles Deleuze. Ce n’était pas lui rendre service.
Et comme philosophe ?

C’est ce qu’il y avait de plus important pour moi. Pour ce qu’il écrivait.
Nous avions la même conception de la philosophie.
Gilles n’avait aucun sens de la vie concrète, de l’argent. C’est un miracle qu’il ait été reçu à l’agrégation !
Pendant un certain temps, j’ai gagné ma vie comme traducteur. J’ai traduis des romans d’Erich Maria Remarque. C’était un travail terriblement ingrat, mal payé et solitaire. Il n’y a rien de pire. Mais en revanche si vous travaillez à des traductions d’une langue étrangère en français, cela vous apprend le français et cela m’a été très utile pour devenir écrivain français.

Qu’est-ce que pour vous la philosophie ?

Platon, Aristote, Spinoza. Si vous me demandez quel est le plus grand livre qui existe, je vous réponds L’Ethique de Spinoza. Il y a une valeur en toute chose : dans la musique, la peinture, la poésie, la pensée philosophique. Au sommet de la pyramide des livres de philosophie il y a L’Ethique de Spinoza.

2 Mars 2014, 13h05

On va publier mon œuvre complète en un volume, dans l’édition de La Pléiade chez Gallimard. Elle sortira peut-être après ma mort. C’est Arlette Bouloumié qui va s’en occuper. Mais ça ne m’intéresse pas beaucoup. Ce qui m’intéresse c’est d’être lu. Or, la Pléiade n’est pas lue. On la met dans la bibliothèque et on la regarde, mais on ne l’ouvre pas. Je préfère les livres de poches.
J’ai déjà le titre de mon prochain livre. Quand j’avais un bureau chez Gallimard, souvent, un auteur arrivait, posait un manuscrit sur la table et disait : « Voilà mon prochain roman, je n’ai pas de titre ! Proposez-moi quelque chose ».
Pour moi, c’est le contraire. J’ai des titres plein mes poches et plein mes chaussures, mais je n’ai pas le livre derrière. J’ai un très joli titre pour un journal : Le plus clair de mon temps.

On est dimanche aujourd’hui ? Dimanche 2 Mars. C’est bien le 2 Mars. C’est vraiment l’ouverture sur le beau temps, sur le ciel. C’est quand même mieux que le 2 Novembre !

J’ai reçu quelques fois le président de la République, Mitterrand. Il venait en hélicoptère, et il y avait une voiture qui venait de Paris pour l’accueillir à l’hélicoptère. Quelle histoire !

Pendant des années, j’ai habité ici et j’allais tous les jours travailler à Paris. Avec ma voiture j’allais à Saint-Rémy-lès-Chevreuse, je prenais le train, qui s’appelait à l’époque La ligne des Sceaux et qui s’appelle maintenant le RER. De Choisel, on ne peut pas aller en voiture à Paris le matin à 8h et revenir le soir à 18h. C’est impossible.

Tout ce que j’ai publié je l’ai écrit ici à cette table, devant la fenêtre qui donne sur le jardin. Dans le carton à votre droite, il y a mon journal.
J’allais régulièrement en vacance à Saint-Jacut-de-la-Mer, en Bretagne où il y a une merveilleuse abbaye. Un jour, pendant une conférence, j’ai dit que j’appréciais beaucoup la sculpture chrétienne mais je regrettais que Jésus sois toujours tenu par la Vierge et non pas par son père.
L’année suivante, la mère supérieure m’a dit qu’elle avait une surprise pour moi. Elle avait trouvé un Saint Joseph avec le petit Jésus sur les bras. Je l’ai ramené chez moi, dans ma voiture. Il est là, sur mon bureau.

Depuis combien de temps vivez-vous à Choisel ?

Depuis 50 ans. Ici, on est dans un presbytère. Derrière le mur il y a le cimetière, et dans le cimetière j’ai déjà une tombe. Ils m’ont fait acheter une tombe. Il a fallu que je paie la pierre et l’inscription dessus. Laquelle ? Ce n’est pas facile. Mais c’est fait :
« Je t’ai adorée, tu me l’as rendu au centuple. Merci la vie ! » C’est beau, non ?

 

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