J.-H. Barthélémy – Simondon, o il sintomo di un’epoca

Simondon, o il sintomo di un’epoca. Cronaca di una riscoperta

di cialis prix forum Jean-Hugues Barthélémy

 

Introduzione

L’opera del filosofo francese Gilbert Simondon (1924-1989) è attualmente oggetto di una progressiva scoperta internazionale, seguita alla riscoperta a partire dagli anni 2000 da parte dei filosofi e degli scienziati francesi. Negli Stati Uniti e in Germania, le sue opere più ambiziose e più difficili sono molto attese, e già in corso di traduzione ((Du mode d’existence des objets techniques è già stato pubblicato in versione tedesca grazie agli sforzi di Michael Cuntz, ed il professor Erich Hörl (Leuphana Universität, Lüneburg) ha consacrato a questo libro un’opera, che è dunque il primo studio tedesco su Simondon. Negli Stati Uniti, è L’individuation à la lumière des notions de forme et d’information ad essere attualmente in traduzione presso la University of Minnesota Press. Ma sono in programma anche le traduzioni di altri testi, come Imagination et invention(1964-1965), o ancora, il Cours sur la Perception(1965-1966). )) , grazie a un numero crescente di giovani ricercatori che lavorano da qualche anno sulle versioni originali francesi.

Quest’opera, che puntava a un «nuovo enciclopedismo», dopo quello del Rinascimento e poi dell’Illuminismo, preconizzava le reti informatiche già nel 1958, sotto il nome di «insiemi informazionali». E vedremo come, in Simondon, sarà proprio la riformulazione della nozione stessa di informazione a costituire il cuore di una «riforma nozionale» intrapresa a partire da L’individuation à la lumière des notions de forme et d’information. ((G. Simondon, L’individuation à la lumière des notions de forme et d’information, Grenoble, éditions Jérôme Millon, 2005 (réédition 2013), trad it. e cura di G. Carrozzini, L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e di informazione, Milano-Udine, Mimesis, 2011. Quest’opera era dapprima apparsa in Francia in due volumi e a distanza di parecchio tempo: L’individu et sa genèse physico-biologique, Paris, P.U.F., 1964 (réédition Millon, 1995, inedito in italiano) e L’individuation psychique et collective, Paris, Aubier, 1989 (réédition 2007), tradotto in italiano a cura di P. Virno, L’individuazione psichica e collettiva, DeriveApprodi, Milano, 2001)) Naturalmente, l’opera – seppure molto diversa nello spirito e nello stile – di un filosofo come Bernard Stiegler, che si riferisce continuamente a Simondon, ha influito parecchio nei termini di una simile (ri)scoperta, ed è sempre un bene quando un pensiero potente e originale riesce ad uscire dall’oblio grazie ad un altro pensiero ambizioso. Non possiamo tuttavia ignorare due fatti che ci fanno seriamente riflettere sulle mancanze della nostra epoca:

  • da una parte, oltre al fatto che Stiegler non rappresenta proprio ciò che si è soliti chiamare un filosofo istituzionale, dato che in Francia incarna l’odierno pensatore politicamente impegnato ma « universitariamente non strutturato», si deve riconoscere che, più in

    generale, i lavori in qualche modo riconosciuti su Simondon sono stati, fino ad oggi e a partire dall’ottimo libricino di Muriel Combes del 1999 ((M. Combes, Simondon, individu et collectivité, Paris, P.U.F., 1999 (un capitolo del quale si trova tradotto nel volume Il transindividuale. Soggetti, relazioni, mutazioni, a cura di E. Balibar e V. Morfino, Milano-Udine, Mimesis, 2014). Senza evocare qui nessuno dei punti d’interpretazione che ho discusso nelle mie opere, dirò semplicemente che questo piccolo libro resta senza dubbio una delle migliori introduzioni al pensiero di Simondon, malgrado la volontà manifestata da Combes di trarre da Simondon un pensiero politico che, nel suo caso, deve quasi di più a Foucault e a Deleuze che allo stesso Simondon.)) , opera di giovani filosofi che non occupano a loro volta posti da ricercatore;

  • dall’altra parte, e per effetto di una triste simmetria, gli intellettuali che hanno qualche facilità a pubblicare testi su Simondon, o a parlare di lui in occasioni accademiche, sono molto spesso proprio coloro dei quali Simondon avrebbe maggiormente diffidato, dal momento che essi incarnano quel pensiero metaforicoda cui egli aveva fortemente tenuto ad allontanarsi, ad esempio pensando l’analogia nella sua differenza dalla metafora. Parlo di quei numerosi seguaci di Deleuze che, negli Stati Uniti e in Canada, così come in America latina e in Francia, sono giunti a Simondon attraverso il loro maestro, senza mai fare lo sforzo di leggere Simondon direttamentee indipendentemente da questo filtro.

La presente cronaca si propone di restituire, anche se brevemente, lo sforzo teorico messo in campo a suo tempo – essenzialmente tra il 1954 e il 1968 – da Simondon, allo scopo di capire meglio, in seguito, la strana ricezione, allo stesso tempo differita e distorta, che è capitata e ancora capita alla sua opera. Alla fine, il destino di quest’opera complessa apparirà come uno dei sintomi più evidenti del deficit di pensiero che caratterizza la nostra epoca, che è in effetti quella della partizione semplicistica e sterile tra visioni tendenzialmente scientiste e visioni tendenzialmente relativiste, lontane le une quanto le altre dalle questioni profonde introdotte dalla necessaria articolazione di ontologia e tecnologia alla quale Simondon tentava di introdurci già mezzo secolo fa.

 

Singolarità di un’opera visionaria

Il pensiero di Simondon è manifestamente animato da una volontà, per così dire ossessiva, di rovesciare tutte le alternative classiche alle quali invece la maggior parte dei filosofi, nel sostenere le proprie tesi ((A proposito di ciò, si veda il mio Simondon, Paris, éditions Les Belles Lettres, 2014.)) , rinvia. Già questo è un elemento che rende un simile pensiero difficile da capire, tanto siamo abituati a collocare i pensieri in campi identificabili. Ma è impossibile comprendere Simondon se si cerca di farlo appartenere all’empirismo o, al contrario, al razionalismo innatista, al realismo o all’idealismo, allo scetticismo o al dogmatismo, al meccanicismo o al vitalismo,

allo psicologismo o al sociologismo, all’umanismo o al tecnicismo. Alla base di queste alternative, Simondon riconosce un suolo del quale ritiene necessario disfarsi : l’opposizione tra il soggetto filosofante e l’oggetto del suo pensiero. Chiaramente, in ciò si riaggancia alla preoccupazione più profonda di qualcuno tra i filosofi «continentali» più importanti del suo secolo, pur senza tuttavia condividerne le soluzioni : ai suoi occhi, Bergson resta troppo vitalista, Heidegger troppo attaccato all’idea di un’«essenza dell’uomo». Simondon, filosofo della tecnica che conosce le tecniche e la loro storia, vuole dialogare con la cibernetica di Wiener per, paradossalmente, riprendere il progetto filosofico in ciò che esso ha di più filosofico. Perché egli capisce che è venuto il tempo di pensare i processi di informazione, e di farlo in relazione ad una teoria dell’informazione ad essi appropriata.

È in questo punto nodale della tematica dell’informazione che si gioca l’unità tra la sua ontologia e la sua tecnologia, dal momento che la riformulazione di tale nozione è in effetti descritta da Simondon come il centro di quella «riforma nozionale» in cui consiste l’insieme della sua ontologia – e di conseguenza, della sua tecnologia. L’informazione, in essa, diviene dunque genesi, di cui l’«informazione» intesa come trasmissione da un emittente a un recettore non è che un caso derivato, comprensibile a patto di partire da uno stato primordiale della realtà nella quale non esistono né emittenti né recettori. Qui, gli schemi direttivi non sono più tecnologici come erano nella teoria dell’informazione : sono invece tecnoscientifici, e innanzitutto quantici, anche se senza dubbio Simondon non ha fatto che porre le basi per questo nuovo tipo di conoscenza nella quale tutti i livelli di realtà (tecnologica, biologica, psico-sociale) sono chiariti a partire dalla nuova fisica in quanto tecnoscienza – e senza dar luogo a un fisicismo di stampo riduzionista. A questo punto, l’epistemologia deve a sua volta essere profondamente rivisitata, dal momento che anche l’ontologia esige ora una nuova risoluzione dei problemi di interpretazione legati ai paradossi della fisica quantistica. Ancora una volta, Simondon non ha fatto che tracciare la via, ma la potenza della sua critica all’ilomorfismo – dottrina che ha dominato la filosofia occidentale da Aristotele a Kant ((«La distinzione dell’a priori e dell’a posteriori, residuo dello schema ilomorfico nell’ambito della teoria della conoscenza, occulta, all’interno della propria zona oscura centrale, l’effettiva operazione d’individuazione, che costituisce il centro della conoscenza» (G. Simondon, L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e di informazione, cit., p. 45). La nozione di individuazione in Simondon non designa in modo prioritario l’individualizzazione, ma la genesi, anche se Simondon riconosce che si tratta di due aspetti di uno stesso processo. Il termine «individualizzazione» è da egli più specificamente utilizzato in relazione alla vita biologica nel senso di «genesi perpetua», e poi applicato all’oggetto tecnico in quanto esso, così come l’essere vivente, richiama, nella sua genesi e nel suo progresso, un «milieu associato» necessario al suo funzionamento.)) e oltre – ci convince facilmente del fatto che egli fosse sulla pista di un’intelligibilità nuova e trasversale tanto quanto l’aristotelismo. In questo sta ciò che ho chiamato il suo «enciclopedismo genetico» ((J.-H. Barthélémy, Simondon ou l’encyclopédisme génétique, Paris, Presses Universitaires de France, 2008.)) , considerando che Simondon si riteneva allo stesso tempo un enciclopedista e un pensatore della genesi di ogni cosa.

 

Una ricezione allo stesso tempo differita e distorta

Se Du mode d’existence des objets techniques, apparso nel 1958, non aveva avuto a quell’epoca la ricezione meritata, divenuta tale soltanto oggi, è perché la prima parte dell’opera immergeva il lettore in funzionamenti tecnici che da una parte sono difficilmente padroneggiati dai filosofi, e dei quali d’altra parte non si comprendeva ancora lo scopo. Inoltre, la questione della tecnica non era veramente decisiva né epistemologicamente né antropologicamente, e del resto, almeno per quanto riguarda il contesto francese, tale questione veniva giudicata, fino agli anni ’90, come già trattata una volta per tutte da Marx e poi da Heidegger. Simondon, da parte sua, proponeva degli strani concetti e si acheterviagrafr24.com degnava di dialogare con Marx solo in certi casi, mentre con Heidegger lo faceva, ma in modo eccessivamente implicito. Per di più, l’opera non denunciava con sufficiente insistenza il «tecnicismo intemperante» ((G. Simondon, Du mode d’existence des objets techniques, Paris, Aubier, 1958 (ed. ampliata nel 1989), p. 9.)) per poter prevenire il malinteso generato nelle sue primissime pagine, che lasciarono credere a molti lettori che Simondon fosse un puro tecnicista, ed impedirono a questi stessi lettori di proseguire oltre nella lettura. Tale opera, dunque, fu raramente letta per intero.

Nemmeno la pubblicazione, nel 1964, di L’individu et sa genèse physico-biologique permise a Simondon di conquistare dei lettori, perché la difficoltà dell’opera è enorme, e per di più, coloro che avevano percorso Du mode d’existence non capivano ancora il legame tra le due opere. L’individu et sa genèse passò dunque ancora più in sordina. Invece, ciò che vorrei qui sottolineare è che proprio laddove si presentò per Simondon un’occasione di essere infine scoperto dalla comunità scientifica francese e internazionale, tale occasione si rigirò in un uso non soltanto dichiarato a metà, ma soprattutto distorto : intendo riferirmi all’uso, allo stesso tempo centrale e fondato su un malinteso, di Simondon fatto da Deleuze.

Negli anni ’60, mentre Herbert Marcuse ((H. Marcuse, L’uomo a una dimensione. L’ideologia della società industriale avanzata, trad it. di T. Giani Gallino, Torino, Einaudi, 1967 (ed. orig. 1964).)) e Jean Baudrillard ((J. Baudrillard, Il sistema degli oggetti, trad. it di S. Esposito, Milano, Bompiani, 1972 (ed. orig. 1968).))  si appoggiavano a Du mode d’existence des objets techniques, Gilles Deleuze, a sua volta, scriveva un resoconto ammirato di L’individu et sa genèse physico-biologique :

In ogni caso, sono pochi i libri che, come questo, fanno sentire fino a che punto un filosofo possa ispirarsi all’attualità della scienza, e al tempo stesso, tuttavia, ricollegarsi ai grandi problemi classici trasformandoli e rinnovandoli. I nuovi concetti creati da Simondon ci sembrano di estrema importanza; la loro ricchezza e la loro originalità colpiscono o influenzano il lettore ((G. Deleuze, « Gilbert Simondon, L’individu et sa genèse physico-biologique », Revue philosophique de la France et de l’étranger, vol. CLVI, n°1-3, p. 118 (ripreso in L’île déserte et autres textes, Paris, éditions de Minuit, 2002). Trad. it. e cura di D. Borca, « Gilbert Simondon, L’individuo e la sua genesi fisico-biologica», in L’isola deserta e altri scritti. Testi e interviste 1953-1974, Torino, Einaudi, 2002, p. 110.))

Ciò che certamente affascina Deleuze è quella riforma nozionale alla quale mi riferivo dicendo che la riformulazione della nozione di informazione ne era al centro, così come affermato da Simondon. Ma in definitiva, Deleuze farà più torto che bene alla ricezione di Simondon:

  • da una parte, il suo uso dei concetti di Simondon non viene necessariamente segnalato, e bisognerà attendere l’opera Deleuze, l’empirisme transcendantal di Anne Sauvagnargues ((A. Sauvagnargues, Deleuze, l’empirisme transcendantal, Paris, Presses Universitaires de France, 2009.))

    , pubblicata nel 2009, per comprendere il ruolo centrale giocato da Simondon nella genesi del pensiero deleuziano ;

  • dall’altra, questo « empirismo trascendentale » deleuziano devia le visioni di Simondon in un modo già annunciato nella lettura offerta dal resoconto scritto da Deleuze nel 1966 :

 […] il metastabile, definito come essere pre-individuale, è perfettamente fornito di singolarità che corrispondono all’esistenza e alla ripartizione dei potenziali. (Non avviene forse lo stesso per la teoria delle equazioni differenziali, in cui l’esistenza e la ripartizione delle «singolarità» sono di altra natura rispetto alla forma «individuale» delle curve integrali nella loro vicinanza?) ((G. Deleuze, « Gilbert Simondon, L’individuo e la sua genesi fisico-biologica », inL’isola deserta e altri scritti, cit., p. 107 (sottolineature dell’autore).))

La metastabilità è quello stato sovrasaturo e ricco in potenziale che Simondon, come Wiener, prende in prestito dalla termodinamica, ma per condurci all’idea di « preindividuale » in quanto stato primordiale della realtà di cui ai suoi occhi solo la dualità quantistica onda-corpuscolo fornisce l’indice, dato che essa rinvia al «più che uno» che precede ogni individuazione – e ciò dal momento che l’ontologia di Simondon non è un’ontologia dialettica del «non-uno». Ma il punto in cui Deleuze devia fin dal principio Simondon, è là dove scrive che il preindividuale è «fornito di singolarità» : in Simondon, LA singolarità è invece piuttosto ciò che provoca l’individuazione di quel campo che è il preindividuale, e il paradigma di questo processo è la cristallizzazione provocata dall’introduzione di un germe cristallino (singolarità) in una soluzione sovrasatura che diviene l’«acqua madre» del cristallo che viene formandosi. Deleuze, così come evidente nel passaggio citato, piega gli schemi fisici del pensiero di Simondon su degli schemi matematici – tra l’altro interpretati con una libertà che darà agli scienziati l’occasione di denunciare in Deleuze, così come in altri pensatori francesi, la mancanza di rigore concettuale ((A proposito dell’ « affaire Sokal », si veda la messa a fuoco utile – benché necessariamente caricaturale nel momento in cui affronta questo o quel pensiero che non padroneggia – di Jacques Bouveresse in Prodiges et vertiges de l’analogie(Paris, éditions Raisons d’agir, 1999). Ciò che importa oggi è combattere lo scientismo rifiutando allo stesso tempo il relativismo, e ciò passando attraverso una denuncia filosoficadei derivati dell’analogia, della quale occorrerà fare una nuova teorizzazione a partire dalle basi poste da Simondon – cosa che Bouveresse non vede, e questo è il suo unico limite sul piano dell’invenzione teorica.)) . Simondon, invece, teorizzava l’analogia proprio in modo nuovo, per distinguersi dai pensieri di tipo metaforico che, in particolare in Francia – e nello stesso modo in qualsiasi fonte francese del suo pensiero –, nuocciono alla precisione del concetto.

Il malinteso è aggravato ulteriormente nel momento in cui Deleuze qualifica l’ontologia simondoniana come «nuova concezione del trascendentale» ((G. Deleuze, Logica del senso, trad. it. di M. De Stefanis, Milano, Feltrinelli, 1975 (ed. orig. 1969), p. 197.)) . Perché ciò che Deleuze, nello stesso passaggio di Logica del senso, chiama «campo trascendentale» – felicitandosi con Simondon di averne estratto i «cinque caratteri» ((Ibidem.)) – non è precisamente affatto trascendentale in Simondon : se il preindividuale è certamente per quest’ultimo un campo, e se anche è ciò da cui procedono il soggetto conoscente e l’oggetto conosciuto, esso non diviene per effetto di ciò trascendentale, dal momento che questo soggetto conoscente e questo oggetto conosciuto sono tematizzati dal soggetto filosofante a partire da una prospettiva ontologica che fa derivare il soggetto conoscente dal «soggetto» affettivo-percettivo – ridefinito da Simondon insieme individuo/preindividuale –, e quest’ultimo dall’individuo vivente. Simondon è dunque più vicino, in tale questione almeno, al Piaget di Biologia e conoscenza che al Deleuze di Logica del senso.

L’ho annunciato : la (ri)scoperta progressiva dell’opera di Simondon è, fino a qui, troppo spesso stata in mano agli allievi di Deleuze – la maggior parte dei quali ha letto anche Stiegler, presso il quale il riferimento a Simondon diviene costante –, con tutti i malintesi che sono legati all’uso di un simile filtro nella lettura. Tuttavia, dal 2005, e parallelamente a un’impresa editoriale di riedizione dei testi di Simondon rimasti in qualche caso fino a quel punto riservati, si è costituita una comunità attiva e in crescita, che è all’origine di ricerche, seminari, e pubblicazioni attorno l’opera di Simondon.

 

Scientismo, relativismo ed enciclopedismo genetico

Da qualche anno, in effetti, l’opera di Simondon è studiata di per se stessa, con spirito di rigore esegetico, da alcuni giovani ricercatori di quattro diverse nazionalità, i quali hanno tutti recentemente accettato di costituire un’equipe operante all’interno del nuovo Centro internazionale di studi simondoniani (CIDES) ((Il CIDES è un centro patrocinato dalla Fondazione « pour la science » e ospitato dalla Maison des Sciences de l’Homme di Paris-Nord. Il suo sito web è consultabile all’indirizzo http://www.mshparisnord.fr/cides/.)) basato a Parigi. Questi specialisti non sono tuttavia degli allievi del filosofo, che nessuno di loro ha mai conosciuto in vita, ma, a differenza dei deleuziani, sono animati dal desiderio di prolungare Simondon a partire da una comprensione precisa di ciò che egli ha prodotto. In questo caso, dunque, l’esegesi, pur facendosi di buon grado polemica nei confronti dell’opera studiata, non cessa d’altra parte di essere un’esegesi nel senso forte del termine.

Questa è la singolarità di Simondon : non avendo avuto allievi, è oggi studiato con serietà da coloro che non sono allievi di nessuno. Ma, al di là di questa condizione minima, ciò che unisce i membri del CIDES è certo la convinzione seguente : se la ricezione dell’opera di Simondon è stata allo stesso tempo differita e distorta, è perché quest’opera, della quale ho ricordato l’ossessione verso il superamento delle alternative classiche, sfugge anche all’opposizione tra scientismo e relativismo che, innegabilmente, domina ancora la scena filosofica internazionale, a partire dal suo sviluppo tra il 1960 e il 1990.

Durante questo periodo, in effetti, mentre da parte sua la filosofia analitica guadagnava spazio in molti paesi e convinceva parecchi filosofi che la filosofia non avrebbe avuto voce in capitolo se non puntando una volta per tutte – attraverso un dialogo costante tra i pensatori – a un carattere scientifico per approssimazione crescente, la filosofia continentale, a sua volta, si ispirava in vari modi ad Heidegger per rivendicare talora un pensiero «post-moderno» eccessivamente letterario e sdegnoso nei confronti delle scienze, ma allo stesso tempo difficilmente differenziabile, in un certo senso, dalle posizioni relativiste e nichiliste. Allo scientismo tendenziale allargato – in quanto ormai non verificazionista e non escludente nuove ambizioni metafisiche – della filosofia analitica, si opponeva quindi sempre più vivamente un nuovo tipo di relativismo, a sua volta in tendenza, che rosicchiava dall’interno la filosofia continentale – la quale, negli Stati Uniti, si trovava e si trova ancora accantonata nei dipartimenti di «cultural studies» o addirittura di letteratura… A suo modo – modo che non è più iscritto nell’eredità heideggeriana –, la corrente del «costruttivismo sociale» che conduce all’opera di Bruno Latour, così popolare in questi dipartimenti universitari americani, incarna certo ugualmente il nuovo tipo di relativismo di tendenza continentale ((Per una critica del rischio di relativismo inerente al costruttivismo sociale (anche rielaborato) di Latour sul piano della teoria della conoscenza, si veda J-H. Barthélémy, « Deux points d’actualité de Simondon », Revue philosophique de la France et de l’étranger, n°3/2006, p. 299-310.)).

L’enciclopedismo genetico di Simondon ha la vocazione per fornire dal canto suo un al di là di questo dibattito divenuto sterile agli occhi di molti, tessuto da una parte da una giovane tradizione analitica che spera di diventare scienza – perché in essa il doppio abisso che separa la scienza dalla filosofia come dal buon senso non è mai stato ammesso –, e dall’altra da una vecchia tradizione continentale che non sa più come fare a definirsi post-metafisica – dal momento che in essa il senso stesso di «metafisica» non cessa di modificarsi senza mai essere chiaramente definito. L’enciclopedismo genetico, nel momento in cui deve, di per sé e tra i suoi diversi compiti, unificare le scienze – che in loro stesse sono incapaci di unificarsi –, offre le condizioni di sviluppo per delle filosofie che, nella loro diversità, avrebbero almeno in comune di non essere esposte né alla http://www.cialispharmaciefr24.com/cialis-moins-cher-strasbourg/ tendenziale ingenuità analitica, né al tendenziale magma continentale.

 

Tradotto dal francese da Sara Baranzoni

La versione originale dell’articolo è apparsa sulla rivista Hermès n.70 – Le xxe siècle saisi par la communication. Vol. 1 : Les révolutions de l’expression, ed è consultabile e scaricabile su cairn.info

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